2001: Odissea nello spazio, spiegazione

Condividi l'articolo

A cura di Luca Varriale

Una azzardata analisi fantascientifica

«Meglio che getti a mare l’orologio che hai al polso e cerchi di capire che il tempo che vuole catturare non è altro che il movimento delle sue lancette…»

(Grateful Dead, Walk in the Sunshine)

Cercheremo ora di rischiare il tutto per tutto, di dare voce alla nostra natura masochista. Perché scegliere di farsi del male fisicamente, quando puoi azzardare una spiegazione su 2001: Odissea nello spazio? Già si vedono in lontananza mille fucili pronti a sparare sul nostro petto.

Se nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato l’aspetto filosofico e ontologico della pellicola, ora ci avventureremo in una spiegazione lineare di ciò che abbiamo visto nel film. Poiché, per quanto sia eccezionale la capacità del genio umano di intersecare un pensiero per farne nascere di nuovi, è anche vero che è rassicurante trovarsi avvolti dalle grandi tette della linearità fatta di inizio, sviluppo e conclusione.

Inoltre, vorremmo dar rilievo al lato fantascientifico del capolavoro kubrickiano. Non si sbaglia quando si dice che 2001: Odissea nello spazio non può essere ridotto a solo film di fantascienza, ma è anche vero che questo genere ha permesso a Kubrick di esplorare vie concettuali che solo l’esplorazione dell’universo e del suo tessuto spazio-temporale possono rendere concrete. Vie da cui ricavare lezioni, moniti e consigli.

Odissea 5

Il monolito nero

Origine della storia e della nostra spiegazione è il grande ammasso di pietra levigata parallelepipedale noto come monolito nero.

Cos’é? Probabilmente, per dirla in maniera grezza e volgare, è un enorme contenitore di messaggi. Questi portano con sé verità utili per gli esseri viventi dell’Universo. Il mittente potrebbe essere una razza aliena d’intelligenza ed evoluzione superiore, oppure un Dio con una predilezione per l’architettura e un certo gusto per il design. Certo è che quando un essere vivente entra in contatto con esso è destinato a cambiare radicalmente la sua visione del mondo, di se stesso e degli altri.

Gli ominidi

Nella prima parte del film, quella dedicata alla preistoria, il monolito nero, azzardiamo, sia atterrato per la prima volta sul nostro pianeta, attirato dalla presenza di una nuova forma di vita che sembra capace di recepire i messaggi al suo interno. La prima verità che viene donata alla nascente razza umana è la meraviglia. O meglio ancora, la meraviglia per la scoperta. In quegli ominidi scatta qualcosa di nuovo, di inaspettato: il pensiero astratto.

In linea con il pensiero pessimistico kubrickiano sulla natura umana, questa verità non porta a felici conclusioni, ma anzi, desta la insita natura violenta di quegli “embrioni” umani. Il primo utilizzo del pensiero astratto è la sopraffazione dell’altro. Potremmo pensare che questa sia utilizzata per scopi di sopravvivenza, oppure, osservando la Storia, potremmo pensare che la sopraffazione sia un’intima necessità dell’animo umano, risposta ad una aggressività atavica e radicata.

Che il monolito nero e il suo mittente si aspettassero questa risposta? Non possiamo dirlo con certezza. Forse, prendendo in considerazione che esseri superiori potrebbero avere concezioni del tempo diverse dalla nostra, concezione più ampia, circolare e simultanea -punto chiave, a nostro parere, del film e che esploreremo più in là- i mittenti sapessero già che quella fosse una prima tappa necessaria per il lungo percorso verso la verità assoluta. Certo è che una volta adempito al suo dovere il monolito lascia il pianeta, rimanendo nel nostro sistema solare -che ce ne sia uno per ogni sistema?- in attesa che il nuovo messaggio portato in sé sia pronto ad essere recepito.

LEGGI ANCHE:  Il cinema pacifista del '900 come mezzo di critica e denuncia

odissea 13

Aspettando sulla Luna

Dopo tre milioni di anni di attesa, appena colpito dai primi raggi dell’alba lunare, il monolito nero torna a “suonare” la sua melodia. Come un grande dito nero indica al di là di Giove, lì c’è una nuova verità, c’è il futuro, basta seguire il segnale radio che emette. Spettatori del “risveglio” sono degli astronauti guidati dal dottor Heywood Floyd, presidente del Comitato Nazionale per l’Astronautica americano. È il 1999. L’Odissea apre una nuova tappa.

Verso l’infinito ed oltre

«Ho avuto la fortuna inaudita di sperimentare una percezione globale del mio essere, non in un momento particolare della sua esistenza, ma come un “tutto”. Ho potuto paragonare la sua finitezza nello spazio, contro la quale nessuno insorge, e la sua finitezza nel tempo, che invece ci scandalizza tanto»

(La punta dell’ago, Alain Connes)

Senza soffermarci sulla vicenda legata ad Hal9000, di cui vi abbiamo parlato approfonditamente in questo articolo, tenteremo di seguire il percorso dell’astronauta Bowman, ovvero di colui che busserà alle porte della verità.

Ormai solo e senza compagni, Bowman affronterà in solitudine la vera missione. Dopo aver assistito all’eliminazione dei suoi colleghi per mano di Hal9000, finalmente, grazie ad un video registrato dal presidente Floyd, troverà dinanzi a sé lo scopo ed il fine ultimo del suo lungo viaggio.

Arrivato nell’orbita di Giove, l’astronauta decide di avventurarsi con una capsula verso il gigante gassoso e lì si trova dinanzi ad un immenso monolito nero. Attirato da quella strana struttura come da un canto di sirena, Bowman si trova catapultato in un viaggio che definire psichedelico è riduttivo. Fendendo lo spazio-tempo, attraversando l’universo.

odissea 8

Cos’è quello scorrere intenso? Cos’è quella stanza arredata in stile Impero? Chi è quel vecchio? E quel bambino? Dov’è, dov’era e dove sarà l’astronauta Bowman?

Ad un certo punto potremmo pensare di trovarci dinanzi ad un orizzonte degli eventi, ma è un ipotesi da scartare, o almeno da prendere con le pinze, perché se ci fosse davvero un buco nero alle spalle di Giove, non ci sarebbe nessun Giove di cui parlare e nessun sistema solare in cui vivere. Visto che tutto sembra essere al proprio posto, nulla inghiottito da una enorme forza di gravità -dai buchi neri non scappa neppure la luce- allora dobbiamo imboccare altre vie per spiegarci il viaggio interstellare dell’astronauta Bowman. Da scartare anche l’ipotesi di un wormhole la cui esistenza (al momento solo teorizzata) è legata a doppio filo con quella dei buchi neri.

Se Bowman non è su un orizzonte degli eventi, allora come è riuscito ad approdare in un luogo ove lo spazio tempo sembra sospendersi? O, almeno, annullarsi, evaporare?

«Lo spaziotempo è il campo gravitazionale (e viceversa). È qualcosa che esiste di per sé, anche senza materia. Ma non è un’entità diversa dal resto delle cose del mondo, è un campo come gli altri. Più che un disegno sulla tela, il mondo è una sovrapposizione di tele, di strati, di cui il campo gravitazionale è solo uno fra gli altri. Come gli altri, non è né assoluto, né uniforme, né fisso, ma si flette, si stira, si tira e si spinge con gli altri»

Detto questo, potremmo dedurre, semplicemente –senza sforzarsi di ricercare corrispettivi scientifici– che il gigantesco monolito nero sia un portale, che una volta attraversato porta l’essere vivente a confrontarsi con la natura intima del mondo che lo circonda.

LEGGI ANCHE:  Doctor Sleep e Shining, fotogrammi delle scene a confronto

odissea 9

Possiamo dire con sicurezza che il nostro eroe sta sperimentando una delle più grandi scoperte fatte dal genere umano –al di là della accuratezza scientifica del percorso  con cui ci è arrivato– sulla natura del cosmo: il tempo come lo percepiamo esiste solo per noi, è solo il frutto della nostra percezione, della nostra prospettiva. Difatti:

«Localmente, il tempo scorre a velocità diverse a seconda di dove siamo e a che velocità ci muoviamo. Più siamo vicini ad una massa, o ci muoviamo velocemente, più il tempo rallenta: non c’è una durata unica fra due eventi, ce ne sono molte possibili»

e in definitiva:

«il fluire del tempo non è una caratteristica dell’universo: come il roteare della volta stellata, è la prospettiva particolare dell’angolo di mondo a cui apparteniamo. […] La differenza tra passato e futuro non c’è nelle equazioni elementari del mondo, è un aspetto contingente che appare quando guardiamo le cose trascurando i dettagli. […] La nozione di presente non funziona: nel vasto universo non c’è nulla che possiamo ragionevolmente chiamare presente»

A questo punto, Bowman è libero dalla propria percezione sfocata delle cose. Vive nel cuore del Tutto. Ora, è libero di capire. Ora è libero. Poiché, si renderà conto che “il mondo non è un insieme di cose ma un insieme di eventi”.

Odissea 10

Trovandosi dinanzi a se stesso in varie fasi della sua esistenza, ove è reale la sensazione di vivere (atto del mangiare) e pervasiva la ciclicità della vita (vecchiaia e letto di morte), Bowman assiste lo svolgersi eterno e simultaneo della propria esistenza. La domanda che sorge è: una volta acquistata  la verità assoluta sulla natura e il tempo, il ciclo rimarrà uguale a stesso o verrà rinnovato da questa nuova scoperta, da questa eccezionale presa di coscienza?

Forse, come il prigioniero della caverna descritta da Platone, una volta conosciuto il sole non si torna più indietro. Dinanzi allo stesso bivio, Bowman dovrà decidere se rischiare per liberare i propri compagni (l’Umanità) dalle bugie dell’ombra, oppure tenersi per sé la sensazionale scoperta per paura di soffrire nuovamente.

Bambino stellare in eterno o essere umano rinnovato che guiderà i suoi simili verso il “sole”? Svelarlo sarà un compito per il futuro.

odissea 12

«Tutte quante si confondevano tra loro; il futuro e il passato si confondevano; ciò di cui aveva già avuto esperienza e ciò di cui avrebbe avuto esperienza si sovrapponevano, così che nulla restava tranne l’attimo, lo stare immobile e il riposo»

(Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Philip K. Dick)

 

A cura di Letizia Hushi e Luca Varriale

 

Bibliografia:

  • Friedrich Nietzsche, La Nascita della Tragedia dallo Spirito della Musica
  • Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra
  • Jerome Agel, The Making of Kubrick’s 2001 (New York: Signet, 1970)
  • Joseph Gelmis, The Film Director as Superstar
    (GardenCity, New York: Doubleday, 1970)
  • Enrico Ghezzi, Stanley Kubrick (Il Castoro Cinema, 2007)
  •       Philip K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Fanucci Editore, 2017)
  •       William Shakespeare, Enrico IV (Mondadori, 1991)
  •       Alain Connes, La punta dell’ago (Carocci, 2015)
  •       Carlo Rovelli, L’ordine del Tempo (Adelphi, 2017)