Oscar 2017: L’anno sabbatico di Lubezki – Ripercorrendo la sua carriera

Condividi l'articolo

The Tree of life (Terrence Malick, 2011)

Chiunque abbia mandato Malick tra noi umani va ringraziato all’infinito. Il suo cinema raggiunge picchi onirici che si avvicinano a quelli di Lynch, con la differenza che Malick inonda le sue pellicole di spiritualità e natura. L’albero della vita segue gli ups and downs di una famiglia di Waco Texas, in particolare il contrasto tra la madre (Jessica Chastain) che vuole trasmettere ai 3 figli la stessa dolcezza, gioia e spontanaità che si trova nella natura e la voluta rigidità del padre (Brad Pitt), che senza dubbio ama i figli ma allo stesso tempo è ossessionato dal bisogno di prepararli a quello che, per lui, è un mondo difficile. Il tutto attraverso gli occhi del primogenito Jack (il giovane Hunter McKracken, non ancora rivisto sul grande schermo nonostante la fantastica performance) che deve convivere con i rigidi dettami dell’educazione americana anni ’50 senza comprenderli a fondo a causa dell’assenza di comunicazione tipica dell’epoca. L’adulto Jack (Sean Penn) rimarrà confuso dai comportamenti del padre e tormentato da domande sul senso della vita.

Lubezki TREE I 1

Una storia che si trova in molti altri script, ma la traduzione visiva della coppia Malick-Lubezki è qualcosa di mai visto, con scorci sulla natura e sullo spazio che squarciano il film all’improvviso per spiegare come le “piccole” coscienze degli esseri umani trovino le proprie origini nelle dinamiche della natura e nei moti dei pianeti (celeberrima la misteriosa scena del dinosauro). Ma veniamo all’operato del Chivo.

LEGGI ANCHE:  Brad Pitt: le 10 migliori interpretazioni

The Tree of Life è un film delicato ma frenetico, dove la telecamera è in continuo movimento a causa dei radicali cambi di prospettiva, lo zooming “naturale” già visto in Children of Men e i personaggi mai inquadrati a figura intera. Una complicata miscela che elimina la gravità e fa fluttuare i personaggi tra corse in mezzo agli alberi e momenti di riflessione che sfociano nella paranoia. Come affermato dallo stesso Lubezki la più grande sfida fotografica posta dal film fu la complicatissima gestione dell’esposizione nei continui balzi tra esterno ed interno, nel rispetto della rigida linea cinematografica tipica di Malick. Leggenda narra infatti che per affrontare al meglio le riprese, come fatto per The New World anni prima, Luberzki e Malick abbiano stilato una lista di dogmi per la crew. La lista non è mai stata pubblicata, qui sotto citiamo i dogmi spifferati dalla troupe dopo l’uscita del film:
1. Si riprende solo utilizzando la luce naturale a disposizione;
2. True Blacks: Sottoesposizione assolutamente vietata;
3. Preservare la naturale latitudine di posa delle immagini, che significa niente correzione dell’esposizione in post produzione, che significa “o si riprende con la giusta esposizione o si rigira la scena” ( alla fine delle riprese la troupe ha misurato 305 kilometri totali di pellicola utilizzata);
4. Costante ricerca della massima risoluzione;
5. Utilizzo della tecnica Light Fill per gestire il contrasto e mantenere bassi i livelli di luce;
6. Evitare il bianco e i colori primari nelle inquadrature;
7. Focale dell’obiettivo corta per dare ampiezza;
8. Unico filtro ammesso il polarizzatore, indispensabile quando si riprende l’acqua;
9. Nell’occhio del ciclone: Si gira solo con Steadicam;
10. Zoom rigorosamente vietato;
11. Alcuni dogmi possono essere in conflitto tra di loro per cui si accettano eccezioni ai dogmi.

LEGGI ANCHE:  Eli Roth rivela alcuni assurdi aneddoti del set di Bastardi senza gloria

Lubezki TREE IV 1